Per uno studente delle superiori su tre l’IA potrebbe mettere in pericolo le proprie ambizioni lavorative. Diversamente, la manodopera straniera non viene percepita come una reale minaccia: solo 1 su 10 pensa che la presenza di “braccia” provenienti da altri Paesi possa fare lo stesso, diventando un pericolo.
Un dato interessante riguarda anche chi tra i giovani è disposto a formarsi per prepararsi alla sfida dell’AI: si tratta di una minoranza, con una netta prevalenza della componente maschile e di chi proviene da contesti familiari più privilegiati.

A svelare questo scenario, per certi versi sorprendente, è l’edizione 2024 di “Dopo il diploma”, la ricerca condotta da Skuola.net, in collaborazione con ELIS– realtà no profit che si occupa di formare e orientare i giovani nel mondo del lavoro. Lo studio ha coinvolto un campione di 2500 alunni delle scuole superiori ed è stato presentato in occasione della ELIS Open Week, l’evento di orientamento organizzato per avvicinare gli studenti alle aziende leader nei settori tecnico-tecnologici.
L’innovazione dunque, almeno in ottica lavorativa, non è vista dalle nuove generazioni come un’alleata ma come un nemico. Per una porzione importante degli studenti intervistati (27%) ci sono alte probabilità che l’intelligenza artificiale possa mettere i bastoni tra le ruote nel percorso verso la realizzazione personale. E una fetta non trascurabile (8%) parte già sconfitta, considerando una certezza il fatto di dover rinunciare ai sogni di gloria per colpa dell’AI. Solo un quinto (19%) non teme per la sua “occupabilità” in un avvenire dominato dall’intelligenza artificiale. Più nello specifico, a mostrare le preoccupazioni maggiori sembrano essere i maschi, forse perché sono quelli più orientati verso settori tecnici: qui gli sfiduciati, totali o parziali, superano il 40%, quando tra le ragazze si resta poco sotto la media (33%).
Un timore, quello legato a un uso massiccio di tecnologia da parte di aziende e imprese, che non riguarda però solo le prospettive individuali. Per molti è da estendere all’intero sistema produttivo: per 1 intervistato su 4 ogni settore è a forte rischio, mentre circa il 30% pensa che problemi ci saranno, ma solo i comparti più votati al digitale potrebbero fare sempre più a meno delle persone in carne e ossa. Va detto, comunque, che la maggior parte del campione pensa sia ancora presto per gridare all’apocalisse: il 37% crede che molte attività richiederanno ancora a lungo la mano dell’uomo.

Prepararsi all’avvenire
In base a questa lettura, dopo il diploma e l’eventuale formazione post-scolastica ci sarà da lottare per ottenere un lavoro. Nonostante ciò, in pochi si stanno dando da fare per non farsi trovare impreparati. Solamente un terzo degli studenti (34%) utilizza sempre o molto spesso quegli strumenti di intelligenza artificiale generativa, come ad esempio Chat GPT, di cui è piena la Rete. Addirittura 1 su 4 non li ha mai, ma proprio mai, provati.
Solo il 28% degli intervistati si informa con una certa assiduità sui progressi compiuti dal machine learning, leggendo articoli o seguendo corsi e tutorial online. In questo, i ragazzi si sforzano decisamente di più delle ragazze: tra i primi, a prepararsi sull’AI sono il 37%, contro il 22% del campione femminile. Ma anche il contesto familiare fa la differenza: il 46% degli studenti provenienti da famiglie agiate si sta formando su prompt e affini, contro il 30% di coloro che provengono da contesti più umili.
Di sicuro, gli studenti saranno sempre più chiamati a confrontarsi, in un mondo globale e tecnologico, con colleghi di lavoro “artificiali” o di matrice culturale diversa dalla propria. Per questo è fondamentale che acquisiscano skill adeguate fin dai banchi di scuola. Per sviluppare queste sensibilità, però, servirebbero attività di orientamento efficaci, che spesso non ci sono: solo 1 studente su 5, sempre tra quelli raggiunti dalla ricerca, sostiene di essere pienamente orientato su cosa fare dopo il diploma.
Il multiculturalismo non preoccupa, è una ricchezza
Per i ragazzi solo l’8% vive con la preoccupazione che il multiculturalismo possa peggiorare le prospettive occupazionali degli italiani, in ogni settore. Per tanti altri (44%) la minaccia potrebbe valere giusto per compiti a bassa specializzazione. La maggior parte degli intervistati (48%) pensa invece che, a prescindere dagli stranieri, con costanza e impegno un buon lavoro si può sempre trovare.
Ecco perché, più in generale, solamente il 12% ritiene che l’afflusso di manodopera d’importazione possa tradursi in minori offerte, stipendi più bassi o condizioni di lavoro peggiori. Per oltre 7 intervistati su 10, al contrario, queste persone possono aiutare l’intera economia, portando a un arricchimento in termini di visione e modalità operative, che possono “migliorare” anche noi. Per il 16% sono addirittura una necessità, svolgendo quei lavori che noi non vogliamo più fare.