Francesco Ratti ha aperto due nuove vie. Ecco il suo racconto

Alpinismo Atleti
9 Ottobre 2023

Si è conclusa nel migliore dei modi la spedizione verso il Miyar di Francesco Ratti, ambassador Millet, insieme a Jerome Purruquet, Lorenzo D’Addario e Alessandro Baù. Qua sotto la sua testimonianza.

Il racconti Francesco

Arrivati al campo base nel bel mezzo di una finestra di alta pressione non abbiamo perso tempo e ci siamo subito precipitati in quota per cercare di acclimatarci nel più breve tempo possibile. Siamo subito saliti lungo il ghiacciaio del Takdung con l’obiettivo di raggiungere la cima del ghiacciaio già con l’idea di capire le condizioni dell’inviolata parete est della Neverseen Tower. Dopo più di 8 ore di cammino con molto materiale sulle spalle abbiamo installato il nostro campo avanzato alla base della parete est della Neverseen Tower constatandone le buone condizioni e cominciando già a sognare una possibile linea di salita. Durante questo primo giro in quota non eravamo ancora pronti e acclimatati per affrontare una parete del genere e quindi il giorno dopo siamo saliti sul vicino “Enzo Peak” tramite la cresta sud-est: una facile e divertente cresta che comunque non era ancora stata salita da nessuno. Ci siamo poi goduti il sole in cima e siamo ridiscesi a dormire al nostro campo avanzato.

Il giorno dopo siamo rientrati al campo base a riposare e tenerci pronti per la prossima finestra di bel tempo. Purtroppo per più di una settimana il meteo è rimasto molto instabile non permettendoci alcun tentativo serio. Finalmente intorno al 20 di settembre si annunciava qualche giorno di tempo un po’ più stabile e abbiamo deciso di risalire al nostro campo avanzato e di tentare il nostro obiettivo principale: la parete est della Neverseen Tower. Arrivati al campo avanzato il meteo non ci ha riservato un gran benvenuto: tante nuvole, qualche fiocco di neve e freddo, lo zero termico rispetto alla settimana precedente era sceso di più di 1000 metri! Il 20 settembre mattina una leggera nevicata ci riserva un risveglio piuttosto amaro: non c’è molto accumulo ma la parete è bianca e gelata in molti punti. Decidiamo lo stesso di salire e cercare di capire se la linea che abbiamo sognato sia fattibile. Saliamo lungo il canale fino al colle dove troviamo le vecchie corde fisse di un team di spagnoli saliti dal versante Chhudong, abbandonando poi il tentativo dopo aver salito solo un tiro della via.

Decidiamo di attaccare la parete in una zona più bassa rispetto al tentativo degli spagnoli, in modo da non interferire col loro tentativo e soprattutto perché la porzione di parete da noi scelta riceve la maggior quantità di sole e quindi ci garantisce di potersi “pulire” dalla neve caduta nel miglior tempo possibile. Il primo giorno saliamo diversi tiri di corda e decidiamo di lasciare le nostre corde “fissate” nel punto più alto da noi raggiunto e di ridiscendere a dormire nelle nostre tende per poi risalire il giorno dopo lungo le corde e ripartire da dove avevamo la sciato la via. Per fortuna il giorno seguente (21 settembre) ci svegliamo col cielo sereno. Risaliamo il più velocemente possibile le nostre corde e riprendiamo la via da dove l’avevamo lasciata il giorno prima. Il granito lungo la via è davvero bello, la scalata sempre divertente e mai troppo difficile (sul 6b/6c). Nel primo pomeriggio comincia a alzarsi il vento e a fare freddo, siamo comunque ormai sulla cengia sotto la cima dove avevamo individuato un buon posto da bivacco ma decidiamo di continuare: solo 2 tiri ci separano dalla cresta sommitale.

Il primo tiro dopo la cengia presenta fessure intasate dal ghiaccio ma con un po’ di pazienza riesco a farmi strada attraverso di esse e a fare sosta proprio sotto la cresta che ci condurrà in cima. Arrivati in cresta mettiamo scarponi e ramponi e nel rapidamente raggiungiamo la cima: ci abbracciamo contenti e dopo le solite foto di rito ripartiamo ad attrezzare le doppie per la discesa. Verso le 6 di sera rientriamo al nostro campo avanzato dove passeremo la notte prima di rientrare al campo base super soddisfatti di aver centrato il nostro obiettivo principale sfruttando una finestra di bel tempo molto “risicata”. La via aperta sulla Neverseen Tower (5.800mt) abbiamo deciso di chiamarla “Wind of Silence” perché il vento e il silenzio di questa valle remota ci hanno accompagnato lungo tutta la salita. Si tratta di una via aperta in stile alpino senza l’uso di spit (abbiamo usato solo chiodi e protezioni veloci).

Wind of Silence

Rientrati al campo base abbiamo avuto il tempo di riposare un solo giorno prima che il nostro esperto meteo ci annunciasse una nuova finestra di bel tempo in arrivo e quindi siamo subito ripartiti per un secondo obiettivo che avevamo individuato sempre nella Takdung Valley ma un po’ più basso rispetto alla Neverseen: il pilastro sud-ovest del Mont Maudit. Il Mont Maudit era già stato salito in passato dal versante Chhudong ma questo pilastro alto 5.400mt che si erge maestoso sul versante Takdung risultava ancora inviolato e fin dalla nostra prima ricognizione nella valle aveva attirato la nostra attenzione ed è sempre rimasto nelle nostre menti come progetto alternativo o complementare a quello sulla Neverseen Tower.

Il 25 settembre ripartiamo quindi alla volta di questa nuova avventura. Decidiamo di utilizzare la stessa tattica che avevamo usato sulla Neverseen: il primo giorno saliamo veloci a fissare le corde sui primi tiri della via per poi scendere a dormire alle nostre tende alla base della parete e ripartire il secondo giorno dal punto più alto da noi raggiunto il giorno prima. La scalata su questo pilastro si rivela un po’ più impegnativa rispetto a quella sulla Neverseen ma mai estrema, riusciamo sempre a progredire solo con protezioni veloci senza l’uso di spit. La roccia su questo pilastro è davvero eccezionale: un granito rosso lavoratissimo, ricco di fessure e letteralmente tempestato ovunque da “knobs” incredibili, siamo tutti estasiati per la bellezza dell’arrampicata che queste concrezioni ci offrono! A fine pomeriggio, dopo aver aperto 8 tiri d’antologia, ci abbracciamo in cima a questo magnifico pilastro a quota 5400 metri. Comincia anche qui a soffiare un vento gelido e durante la discesa batteremo non poco i denti! Benchè la via sia stata aperta solo con l’uso di chiodi e protezioni veloci, in discesa decidiamo di attrezzare tutte le soste con uno spit, semplicemente per rendere le operazioni più veloci e sicure, anche per degli eventuali futuri ripetitori.

Rientrati infreddoliti alle nostre tende ci godiamo l’ultima notte sul ghiacciaio prima di rientrare al campo base e preparare le nostre cose per il rientro definitivo alla civiltà. Questa seconda via decidiamo di chiamarla “Super Thuraya”, super per la qualità della roccia e Thuraya in onore della compagnia di telefonia satellitare il cui uso è vietato in India e che ci ha creato non pochi problemi al rientro (che vi racconterò con calma).

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