Per la serie “A tu per tu con i grandi dello sport”, nella serata del 24 marzo presso il nuovo punto vendita DF Sport Specialist di Brescia (Centro Commerciale Nuovo Flaminia), una grandissima Tamara Lunger ha coinvolto, fatto sorridere e a tratti commuovere i 280 partecipanti all’appuntamento. Conosciuta ai più per le invernali insieme a Simone Moro, compagno di cordata di cui la Lunger continua a mettere in evidenza il grande e incredibile affiatamento, ha letteralmente “buttato” il pubblico in un universo sconosciuto, quello del dolore e della sofferenza che un alpinista può provare in seguito alla perdita di compagni di spedizione e amici. Ha raccontato come la mente umana possa reagire, come lei stessa si è comportata quando nell’inverno 2020/21 ha abbandonato la spedizione al K2 dopo la perdita di cinque suoi compagni di scalata in pochi giorni. Presente, come sempre, anche il “papà” di DF Sport Specialist Sergio Longoni che, al termine, ha regalato a Tamara una simbolica piccozza color oro personalizzata (in foto). Qua la nostra intervista a Tamara, rilasciata pochi minuti prima che iniziasse la serata.

Cosa hai provato quando è accaduto quel che tutti, purtroppo, sappiamo? Ovvero la morte in pochi giorni di Sergi Mingote, Atanas Skatov, Juan Pablo Mohr, Muhammad Ali Sadpara e John Snorri.
Ho sentito crollare qualcosa dentro di me, provavo dolore ovunque, dentro e fuori. Il clima era tesissimo e a pesare maggiormente era la preoccupazione estrema dei famigliari che, non avendo ancora del tutto perso le speranze, continuavano a chiedere. A un certo punto, anche su consiglio di Simone (Moro, ndr), ho deciso che la mia spedizione al K2 era finita. E forse non solo questa spedizione.
Nel senso che hai pensato di chiudere con la montagna per sempre?
Sono tornata a casa e ho detto basta. Basta con tutto, con le invernali. Non volevo più sentire freddo, paura, dolore. Non volevo più vedere compagni morire. Tanto è vero che sono andata dal mio sponsor La Sportiva e, per correttezza, gli ho detto che io non ero più certa che sarei ripartita. In casa La Sportiva sono stati molto comprensivi. Mi vogliono molto bene, mi sostengono come persona prima che come atleta, e mi hanno detto che avrei dovuto prendermi del tempo. E così è stato.

Cosa hai fatto?
Per un periodo non ho più fatto nulla, neppure sulle montagne di casa, in Alto Adige. Vedevo la montagna e avevo un senso di rifiuto. È stato molto brutto. Faticavo ad accettare il fatto di non sentire più quell’attaccamento, quell’attrazione che le cime avevano sempre esercitato sul mio animo. Ho lavorato molto su di me, facendo meditazione e con l’aiuto di una psicologa. È un percorso lungo e ancora in divenire. Qualcosa sta cambiando ma non ho ancora certezze. Un amore, quello per la montagna per la Dea (il K2) che tornerà piano piano. Il mio legame con quella montagna è troppo forte. È qualcosa che va oltre la performance fisica, oltre l’impresa, è qualcosa di spirituale. Il K2, in passato, mi ha dato dei segnali. Sono certa che la Dea del K2 mi proteggerà sempre, in qualche modo. Forse un giorno si lascerà anche scalare.
La montagna parla? Dà dei segni?
Sì, credo che sia un discorso di intuizione. L’intuizione è qualcosa che abbiamo tutti, nel profondo. La società però, per come è fatta, non ci aiuta a svilupparla. Quel che cerco di fare, personalmente, è allenare questa intuizione, questa capacità di ascolto.

Programmi per l’estate?
A luglio sarò, se tutto va bene, in Africa. Si tratta di un progetto sociale contro l’infibulazione femminile. Vorrei portare il mio contributo e salire in Kilimangiaro con delle ragazze Masai.
Tamara e il sociale. Questa voglia di dare agli altri. Qualcosa sta cambiando dentro di te?
Qualcosa è già cambiato. Sono in evoluzione, se così si può dire. Ho capito che Tamara non è solo quella che scala le montagne ma anche quella che dà qualcosa agli altri. Mi sento portata soprattutto verso una forma di impegno sociale che coinvolge la figura della donna che, in moltissime parti del mondo, soffre una situazione di grande inferiorità.
Intervista: Tatiana Bertera
Ph. Cristina Guarnaschelli